Nel ‘56 inizia il
lo sciopero generale della PRL a Poznan.
Uno stato di forte tensione si genera in tutta la Polonia. A sorpresa
giunge a
Varsavia Nikita Chruszczow e nel frattempo i carri armati sovietici
avanzano
verso la capitale con la scusa di un’esercitazione. E’ il 19 di
ottobre.
Il 21 Gomułka viene
messo al capo del partito PZPR e sembra
riscuotere il parere favorevole della popolazione che accorre
numerosissima
alla manifestazione che segue la sua elezione. Il 24 ottobre, infatti,
400 mila
persone sono presenti in piazza Defilad a Varsavia, proprio sotto il
Palazzo
della Cultura e della Scienza, donato alla Polonia dai Sovietici e
inaugurato
un anno prima. Tutti sono lì ad ascoltare il discorso in cui Gomułka
promette
destalinizzazione, democratizzazione...
La chiusura del
settimanale Po
Prostu nel 1957 con le successive
manifestazioni studentesche represse segnano l’inizio di un periodo di
consapevolizzazione: la libertà che si sperava di ottenere è ben lungi
dall’essere raggiunta. Regna oramai un sentimento comune di grande
delusione
che si riflette con intensità nella letteratura, nel cinema e nelle
altre forme
d’arte di questo periodo.
Nella seconda metà
degli anni ‘40 in Polonia era finita la
guerra ma sul paese incombeva irrimediabilmente il peso dello
stalinismo,
mentre ora,
verso la fine degli anni ‘50, dopo una breve speranza di apertura, ci
si
rendeva conto che la libertà e l’indipendenza dall’influenza sovietica
restavano un sogno ancora impossibile da realizzare. In ambedue i casi
i
polacchi si erano illusi di poter alleviare le loro sofferenze, ma
queste
ultime si erano purtroppo riproposte.
Cenere e diamanti è
un
romanzo scritto da Jerzy Andrzejewski nel 1948 e racconta la storia di
alcuni
personaggi che si trovano nei dintorni di Cracovia nei giorni subito
successivi
alla fine della seconda guerra mondiale. Non è un caso che questo
romanzo venga
scelto come soggetto per un film da Andrzej Wajda 10 anni dopo, ovvero
proprio
subito dopo questi eventi.
In quest’occasione
Wajda coinvolge anche Andrzejewski e
insieme hanno la possibilità di rivedere il testo. Il romanzo era stato
scritto
per convincere il lettore dell’immediato dopoguerra della validità di
un
sistema che si stava in quel periodo consolidando. Era dunque stato
scritto
secondo le esigenze del regime e dipingeva i comunisti come unici
personaggi
positivi e gli ex soldati dell’AK come volgari teppisti.
Dopo l’opera di
revisione i ruoli cambiano, e questi ultimi
da teppisti si trasformano in eroi provati dai traumi vissuti e dalle
perdite
subite in guerra, e che per di più non hanno un futuro in quanto
appartengono
ad una categoria esclusa da ogni possibilità di riaffermarsi: non sono,
infatti, comunisti.
Tenente,
deve sapere che l'unica opzione che le resta, in una Polonia così, è
combattere. Dove andrà con i suoi precedenti? In questo paese per lei
non c'è
nulla tranne una cosa: la prigione.
Maciek, ex soldato
dell’Armia Krajowa, diventa protagonista
del film, mentre nel libro il protagonista era il segretario del PPR,
Szczuka.
Se in guerra Maciek si trovava a uccidere i tedeschi per la libertà
della
Polonia, adesso che è appena finita in nome di questa stessa libertà
deve
uccidere un suo connazionale, e per questo è tormentato da indecisioni
e sensi
di colpa.
- Eravamo
diversi.
- Più
giovani.
- Non
proprio. Sapevamo quello che volevamo.
- Certo.
- E
quello che loro volevano da noi.
- Bella
scoperta! E' ovvio. Cosa pensi che volessero?
- Che
morissimo! E lo vogliono ancora.
Anche Jan
Piszczyk,
il protagonista del film di Andrzej Munk
La fortuna strabica del 1960, cerca di capire cosa vogliono da lui. Ci
prova ma
non ci riesce, oppure arriva troppo tardi e questo gli è fatale, perché
si
trova in un’epoca in cui le cose cambiano troppo velocemente. Infatti
un
polacco che in quel cinquantennio
avesse
voluto comportarsi in modo conformista - o addirittura diventare il
conformista
ideale – sarebbe sicuramente diventato schizofrenico.
Non lo si può
biasimare troppo, quindi, se trovandosi tra
due cortei, uno filo-nazista e antisemita e l’altro che inneggia alla
marcia
sulla Lituania, si metta a gridare gli slogan “Abbasso la Sanacja”,
“Ebrei
in Madagascar” e allo stesso
tempo “Lunga vita
al maresciallo Śmigły”.
Piszczyk è uno Zelig polacco che cerca di trasformarsi in quello che
gli altri
vorrebbero che fosse.
Il film si basa sul
romanzo di Jerzy Stefan Stawiński Le sei
incarnazioni di Jan Piszczyk,
scritto apposta per il film di Munk. Stawiński, già scrittore per Munk
e Wajda
per Eroica
e I dannati di Varsavia,
scrive soprattutto di
esperienze autobiografiche e ha uno stile che molto si discosta da
quello di
ambedue i registi. Munk e Wajda ne trasformano completamente
l’atmosfera
adattandolo ai propri tipici, e alquanto diversi, stili.
Ciò che chiede Munk
a Stawiński è la storia di un povero
jellato che non abbia nulla a che fare con la guerra. Lui però su
questo punto
non lo ascolta, perché per anni durante il regime stalinista non ha
potuto
raccontare ciò che ha vissuto nel corso della II guerra mondiale,
dell’insurrezione di Varsavia e dell’immediato dopoguerra.
Ora che scrivere di
questi argomenti è concesso, il vero
intento di Stawiński è quello di raccontare la sua esperienza ma anche
di
denunciare, in modo non proprio diretto, la realtà sociale polacca del
dopoguerra. Per non incorrere nuovamente nella censura, che non ha
allargato
poi tanto le sue maglie, scrive questo romanzo su un personaggio che è…
Un ometto
insignificante scaraventato nel turbinio della storia. Non potetti
nemmeno
dichiararlo allora, a romanzo finito, perché una simile interpretazione
non
avrebbe incontrato un ampio consenso. La presero tutti come la storia
di un
opportunista, vile, galoppino, ma non era vero. L’opportunista, il
vile, il
leccapiedi vengono fuori quando sono le condizioni a favorirlo.
Jan Piszczyk
infatti si comporta come un opportunista ed è
un po’ bugiardo, ma infondo lo fa solo perché vuole con tutto sé stesso
essere
accettato dagli altri ed adattarsi alla situazione in cui si trova. Il
suo
obiettivo è essere normale e avere una ragazza come gli altri. Tuttavia
ciò
sembra al di sopra delle sue possibilità.
Sfortunato lo è di
certo, e su questo Munk nel film
indubbiamente calca la mano. Avere caratteristiche fisiche tipicamente
semitiche ai tempi di Hitler non doveva essere una passeggiata, e
proprio
quando decide di entrare all’accademia militare…
- Vorrei
essere ammesso alla scuola Militare
- Ma
pensavo stessi studiando medicina all'università
- A dire
il vero legge. Credo sia stato un mio errore ho sempre sognato di stare
nell'esercito. Comunicazioni. Adoro i telefoni, ho già consegnato la
domanda ma
ci sono così tanti candidati…
- Come ti
chiami? Non ricordo
- Jan
Piszczyk!
- Proverò
ad aiutarti, ma non sono sicuro che sia necessario. Presto tutti
andremo in g…
nell'esercito[7]
… inizia la guerra.
Il suo problema
principale è che nessuno lo vuole: viene
cacciato via dal suo primo impiego, dal campo di prigionia e poi
cacciato per
incapacità anche dai lavori forzati. Ogni volta è costretto a
ricominciare
tutto da capo.
Alla fine lo
mettono in prigione, e scopre che solo lì si
sente normale e sicuro (…In questo paese per lei non c'è nulla tranne
una cosa:
la prigione…). Ma non lo vogliono nemmeno lì e il film finisce con Jan
che
prega il direttore del carcere di non farlo uscire.
È chiaro che
ambedue i film espongono una visione alquanto
pessimista e questo pessimismo, che si ritrova in diversa misura e in
diversa
forma nelle opere di questo periodo di entrambi i registi, è certamente
risultato di una situazione politica molto particolare. Wajda e Munk
sono figli
dello stesso momento storico, rappresentano due diverse facce dello
stesso
stato d’animo e vogliono in qualche modo parlare di questo stato
d’animo.
Per farlo Wajda
sceglie un tono romantico-poetico e
restringe l’azione nell’arco di un unico giorno di primavera del 1945,
ovvero
del giorno della resa della Germania.
Non è tuttavia un
caso che i vestiti di Maciek siano quelli
che indossa normalmente Zbigniew Cybulski, l’attore principale, e non
quelli
che indosserebbe un combattente dell’Armia Krajowa. Non è nemmeno un
caso che
lo stesso Zbigniew Cybulski sia considerato il James Dean polacco: in
lui,
secondo Wajda, si devono immedesimare non tanto quelli che avevano
l’età di
Maciek nel ‘45, ma i ragazzi che hanno l’età di Maciek negli anni in
cui viene
girato il film.
Secondo me il
motivo di questo è che proprio a questi ultimi
è dedicato il film, e la critica che il regista rivolge alla situazione
politica della Polonia dell’immediato dopoguerra riguarda non poco
anche quella
del ’58. Bisogna tener conto del fatto che la censura in questi anni
ancora non
permette di affrontare apertamente molti dei temi che stanno a cuore ai
Polacchi.
Munk, invece,
sceglie di raccontare 25 anni della vita del
suo sfortunato personaggio, narrando con un tono
comico-grottesco-tragico le
sue disavventure a partire dagli anni ‘30 fino ad arrivare agli anni in
cui
viene girato il film.
Il suo obiettivo è
quello di analizzare attraverso di lui la
condizione tragica dell’uomo in balìa degli eventi, e per fare questo
non vuole
affatto che lo spettatore del tempo si immedesimi in Jan, anzi, vuole
che ne
prenda le distanze in modo da essere capace di giudicare da fuori la
sua
condizione e, di conseguenza, di rivedere anche la propria.
Wajda perde il
padre a Katyn, studia pittura, va alle scuole
segrete durante la guerra, partecipa alla resistenza e tra i due
registi è
probabilmente quello più intellettuale, quello più incline all’arte e
alla
poesia. Questo film è il suo terzo lungometraggio dopo Generazione e I
dannati di Varsavia.
Il primo è un film
del 1954 che si svolge sullo sfondo
dell’insurrezione del ghetto di Varsavia e ha come protagonisti alcuni
ragazzi
della resistenza. E’ un film ancora fortemente influenzato dal regime
stalinista a discapito della fedeltà alla realtà ritratta, ma
sicuramente
innovativo per l’utilizzo di una recitazione di tipo teatrale e di un
linguaggio filmico che riprende quello del neorealismo italiano.
I dannati di Varsavia,
invece, viene girato subito dopo lo spiraglio che Gomułka apre
ufficializzando
il riconoscimento dell’impegno non comunista durante l’insurrezione di
Varsavia. È un film cupo e pessimista che già si colloca nell’umore
“nero” di
questi anni di delusione.
Munk dà l’idea di
essere un uomo d’azione pratico e deciso:
studia legge ed economia e al fine di lottare per la libertà segue la
guerra
fino a Varsavia. Là diventa segretario dell’Unione Indipendente della
Gioventù
Socialista.
E’ un socialista,
quindi, che inizialmente gira documentari
e film di propaganda. In particolare i suoi documentari hanno spesso
sullo
sfondo la narrazione di una vera e propria storia che viene raccontata
con
modalità di solito utilizzate nei film di finzione.
E’ interessante il
suo L’uomo
sui binari, pervaso da una indubbia ambivalenza: in esso,
raccontando la
storia di un uomo accusato ingiustamente di un incidente ferroviario,
Munk
mette in discussione gli assoluti imposti dal regime e sottolinea la
superiorità dell’esperienza pratica rispetto all’idealismo.
Nel ’57 cambia
registro con Eroica, in cui affronta gli
stessi temi presenti in La
fortuna strabica,
contrapponendosi abbastanza apertamente a I
dannati di Varsavia di Wajda e scegliendo anche qui il
genere
comico-grottesco-tragico.
Così come sono
diversi i due registi, Cenere
e diamanti e La
fortuna strabica sono due film molto
diversi, si potrebbe dire opposti e complementari: Wajda si concentra
sulle
inquadrature, sull’aspetto visivo, proprio come ci si aspetterebbe da
chi ha
una formazione artistica basata sulla pittura e sull’immagine: il film
è
talmente curato sotto questo aspetto, che scommetto che se facessimo un
fermo
immagine in un momento qualunque del film ci troveremmo davanti ad
un’opera
d’arte.
Il bianco e nero
utilizzato dal regista è nitido e morbido e
l’illuminazione si ispira a quella teatrale: spesso i personaggi sono
in ombra
oppure illuminati da fasci di luce. Da questo punto di vista è
insuperabile il
gioco di luci e ombre nella scena fra Maciek e Krysia, la ragazza del
bar,
nella camera 17.
Il linguaggio
filmico è ricco di simboli: il cavallo bianco,
la biancheria stesa che si sporca di sangue, la morte in una discarica,
il
cristo rovesciato, l’abbraccio tra Szczuka e Maciek dopo lo sparo.
Munk, invece, se si
ispira al teatro si ispira a quello
delle marionette o dei mimi. Si concentra però molto di più sulla
sperimentazione sonora, così come anticipato nel suo corto Passeggiata nella città vecchia:
la prima
“incarnazione” di Jan Piszczyk,
infatti, si svolge in un vero e proprio film muto.
In esso i
personaggi invece di parlare emettono suoni strani
simili quelli di Paperino di Walt Disney. Ogni movimento degli attori,
accelerato e buffo come quello di un film di Chaplin, viene scandito
dal ritmo
di suoni ripetuti che possono essere quelli delle forbici o del
fischietto.
E questa modalità
di rappresentazione sonora, seppur
abbandonata nelle “incarnazioni” successive, viene ripresa in vari
altri punti
del film, come ad esempio quando le macchine calcolatrici scandiscono i
momenti
salienti dell’ennesimo fallimento del protagonista.
Il linguaggio è
obiettivo, a tratti iperrealistico. E’ privo
di metafore e interpretazioni, si limita a constatare, ironicamente e
amaramente, lasciando il giudizio allo spettatore.
Ambedue i registi
fanno una scelta che toglie ogni dubbio
sulle loro intenzioni riguardo al tono del film: la scelta dell’attore
protagonista. Zbigniew Cybulski, attore di formazione teatrale, è forse
l’elemento più fortemente lirico e romantico del film di Wajda e
Bogumił
Kobiela è il fattore che ha donato al film di Munk questa spiccata
valenza
comico-grottesco-tragica.
I due personaggi da
loro interpretati sono molto diversi,
opposti e complementari come i due film di cui fanno parte: Maciek è un
eroe,
mentre Jan è un conformista, è un antieroe.
Ed è proprio
l’eroismo uno dei temi chiave dei due film,
quel filo rosso che li unisce indissolubilmente tra loro. L’eroismo ha
senso?
E’ davvero una caratteristica positiva dell’essere umano? E
soprattutto, è
utile, l’eroismo? Queste sono le domande che ci pongono i due registi.
Wajda, all’inizio
di Cenere e
Diamanti, ci parla di un giovane operaio ucciso per
sbaglio: era appena
scappato dalla Germania, chissà cosa aveva passato per riuscire a
tornare in
Polonia… e tutto per cosa? Per venire ucciso in patria, da un suo
connazionale
e per di più per errore.
E questo episodio è
quasi un’anticipazione di quello che
accadrà a Maciek: ha lottato nelle fogne di Varsavia, ha perso tutti i
suoi
amici e ha fatto tutto questo per la sua patria e poi? Viene ucciso per
caso.
Di fronte a questo non ci verrebbe forse voglia di dire che l’eroismo è
di per
sé un assurdo?
L’eroismo è il tema
principale del film si Munk e, sebbene
posto sul piano comico, non si può certo dire che il suo messaggio sia
meno
pessimista si quello di Wajda. Il regista sceglie un antieroe ordinario
e
grottesco per analizzare le radici dell’eroismo e per dimostrarne
anch’egli
l’assurdità.
Se Maciek, l’eroe,
è un uomo che ha scelto di combattere,
che è disposto a morire per qualcosa, una persona che con
consapevolezza ha
deciso di assumersi dei rischi per un ideale, allora è un uomo che lo
spettatore potrebbe considerare un’eccezione.
Piszczyk, invece,
non vuole affatto fare l’eroe ma solo
sopravvivere, e in questo senso è più vicino all’uomo comune. Rinuncia
alla
propria soggettività diventando un conformista. Le poche volte in cui
gli si
permette una certa soggettività, quando gli si dà l’occasione di
scegliere
qualcosa, in quel momento non è comunque all’altezza di quella scelta.
Vista la fine che
fa Jan Piszczyk, capiamo che il messaggio
che vuole farci arrivare il regista è che nella Polonia del dopoguerra
se non
vuoi fare l’eroe perdi la tua umanità e diventi una marionetta. Non c’è
spazio,
quindi, per chi non vuole fare l’eroe: l’eroismo è obbligatorio (- Cosa pensi che volessero?
- Che morissimo! E
lo vogliono ancora). Ma la fine di un eroe, come ci dice
anche Wajda,
non può che essere la morte.
I due personaggi
principali si trovano quindi in una
situazione simile: intrappolati nella storia. Non c’è spazio per loro,
né per
l’eroe né per il conformista.
Il personaggio di
Wajda cerca una via di fuga nel passato:
un passato che non viene rappresentato nel film ma viene continuamente
rievocato nostalgicamente attraverso piccoli dettagli come ad esempio
gli occhiali
scuri, eredità delle fogne di Varsavia, o il brindisi con i bicchieri
in
fiamme. Tuttavia l’impossibile integrazione di Maciek nel presente è
proprio un
effetto del suo passato.
Per il personaggio
di Munk, invece, il passato è come una
jattura che torna e colpisce quando meno te l’aspetti. Jan Piszczyk per
tutto
il film cerca di scappare, di buttarselo alle spalle. Ma questo ritorna
sempre
sia perché le sue sfortune si rinnovano e si ripresentano con modalità
simili,
sia perché a volte è il passato stesso a danneggiarlo, come accadeva a
Maciek.
Un personaggio,
quindi, rimpiange un passato che non esiste
più, mentre l’altro lo rinnega e ambedue si ritrovano privi un modello,
privi
di punti di riferimento cui ispirarsi nel loro presente.
Maciek non ha alcun
punto di riferimento perché non ha
famiglia, non ha più amici e non si riconosce né in ciò che sta
costruendo
Szczuka né nelle azioni che la resistenza, per cui lavora, lo obbliga a
compiere.
Maciek può solo
guardare indietro, vivere nel passato e
brindare in memoria dei suoi compagni sulle note solenni della canzone Czerwone maki.
E’ particolarmente
interessante il suo rapporto con Andrzej, che rappresenta la figura più
controversa, tormentata e ambigua del film.
Andrzej non è solo
il suo diretto superiore, il legame tra
di loro è più profondo. Si tratta, o per lo meno si trattava, di un
rapporto di
amicizia. Ma quando Maciek, non convinto di quello che sta per fare,
cerca di
ricevere da lui un consiglio o almeno un gesto di comprensione, questi
si tira
indietro:
- Parli
come soldato o come amico?
- Non
capisco.
- Oppure
non vuoi capire. Posso parlarti di questo solo come tuo ufficiale
superiore.
Maciek ha sempre
avuto una grande stima di Andrzej, ma
questa stima ha radici nel passato e non riesce ad essere rinnovata nel
presente. Prima, durante la guerra, era il suo punto di riferimento ma
ora non
più: Maciek uccide Szczuka solo perché non vuole deluderlo, solo in
nome del
vecchio sentimento di fiducia che provava per lui.
Jan è privo di
punti di riferimento perché li elimina nel
momento in cui rinnega la sua famiglia. Essa, rappresentata dall’odioso
rumore
delle forbici, diventa il motivo che, per contraddizione, lo spinge a
tutte le
sue scelte: per non sentire il rumore delle forbici al lavoro forzato
nell’industria tessile preferisce quello molto più pesante
nell’arsenale. Di
ritorno dal campo di prigionia potrebbe avere senza sforzo una casa e
un
lavoro. Ma avvicinatosi alla porta di casa di suo padre sente il rumore
delle
forbici e capisce che non può più vivere lì.
- Non
dovresti occuparti di politica con una testa fragile come la tua
-
L'orribile
suono di quelle forbici, come quelle della mia infanzia, diressero
tutto il mio
odio a mio padre. Il solo pensiero di dover ricevere ancora soldi da
lui mi
fece tremare le mani.
Forse anche a causa
del fatto che in qualche modo è ritenuta
colpevole di aver permesso gli orrori della guerra, la generazione dei
padri
non può più in alcun modo incarnare un modello o un punto di
riferimento per la
generazione dei giovani.
Per questo il
rapporto tra le due generazioni diventa sempre
più critico: lo vediamo non solo nel tentativo di Jan di rinnegare il
padre, ma
anche nel “parricidio figurato” di Maciek nei confronti di Szczuka che
termina
con una sorta di coreografico abbraccio, oppure nella ribellione del
figlio
diciassettenne di quest’ultimo che si arruola nella resistenza e
rifiuta di
rispondere alle domande.
Questo tema,
ripreso spesso nel cinema polacco degli anni
subito successivi, nel ’62 diventa tema centrale ne Il coltello nell’acqua,
mentre più tardi in Bariera,
con un atteggiamento diverso, si
traduce nella perplessità che provano i giovani nell’osservare i
vecchi, uniti
da esperienze, rituali e canzoni comuni, di cui loro sono invece privi
e da cui
si sentono alienati:
Loro
hanno le loro canzoni, quali sono le nostre? “Me la cavo da sola?”
Ma la cosa che
rende ancora più oscura la visione che i
nostri due registi hanno di questo periodo è che il giovane che vive
nel
dopoguerra (che sia quello del ’45 o del ’58), e che cerca di fare i
conti con
il suo tragico passato, non manca solo di punti di riferimento per il
suo
presente ma anche di speranza nel futuro, e, cosa ancor peggiore, è
addirittura
privo della possibilità di illudersi e di sognare sul suo futuro.
Dice Pelagia in Ingenui
perversi, che è proprio del 1960 ed è sempre di Wajda: “Dicono che la nostra
generazione non vede niente
oltre a se stessa. Forse hanno ragione, ma come potrebbe essere
diverso… dal
momento che tutti noi giovani non abbiamo illusioni?”
E così Maciek non
ha neanche la forza di sognare veramente
un futuro con Krysia e Jan Piszczyk preferisce restare in prigione
piuttosto
che provare a costruirsi un futuro, piuttosto che doversi trovare
davanti a
delle scelte.
L’eroe e il
conformista fanno due scelte opposte per trovare
il modo di sopravvivere allo stesso momento storico. Possono
rimpiangere il
passato, ma senza possibilità di ritorno o fuggire da esso, vivono in
un
presente a cui è impossibile adattarsi, e hanno un futuro che non si
riesce né
a delineare né, tantomeno, a sognare: né Maciek né Jan riescono a
vivere nel
mondo perché in esso non c’è un posto, non c’è spazio, per nessuno di
loro due.
Maciek e Jan,
l’eroe e il conformista, sono due facce della
stessa medaglia, e la medaglia è la Polonia del dopoguerra, che da
troppo tempo
oramai si trova a dover ridiscutere i suoi confini, e che non trova
ancora il
suo posto, il suo spazio, nel mondo.
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