Body/Ciało


Non è così usuale che il mercato cinematografico polacco produca delle commedie di questo calibro, con  attori di grande esperienza e valore che hanno nel loro curriculum film diretti da registi come Wajda, Zanussi e Kieślowski. E non è usuale vedere un regista polacco contemporaneo che scherza apertamente con lo spettatore, ammiccando sin dalle prime sequenze al fine di ingannare bonariamente chi guarda, facendogli credere che sta per vedere un film di genere, quando di film di genere non si tratta.

 

Piove, un uomo guida in un bosco, ma non su una strada, direttamente sull’erba. Quando arriva in prossimità di una strada sterrata si ferma e continua a piedi. E’ ripreso di spalle, ha un vistoso impermeabile giallo e ha il respiro affannoso. Tutto fa pensare che sia un maniaco, che si trovi lì per compiere qualche malefatta. Un po’ come accade nell’incipit di Quattro notti con Anna di Skolimowski, l’inizio fa pensare a un film su un serial killer.

 

Ma non è così. Presto capiamo che l’uomo è un ispettore di polizia e si trova lì per indagare su un uomo impiccato, probabilmente si tratta di suicidio. Insieme ai suoi colleghi della scientifica constatano l’ora del decesso, scattano le fotografie e poi tirano giù il corpo dal ramo a cui era legato. Mentre analizzano i verbali, il “morto” si alza e se ne va barcollando. I poliziotti lo guardano allibiti e si chiude così la prima bellissima scena di un film, che ha già nel suo incipit tutti gli elementi che ne costituiscono le fondamenta.

 

In questa prima scena si constata la crudeltà della realtà, si scorge l’ambiguità dell’uomo che non è mai né completamente buono, né completamente cattivo. Ma si vede anche chiaramente quanto la scienza e la razionalità a volte non riescano a spiegare nemmeno lontanamente ciò che avviene nella realtà.

 

L’ispettore è interpretato da Janusz Gajos, un pilastro del cinema polacco dalla seconda metà degli anni ’60 ad oggi. Inizia la sua carriera come Janek Kos, il personaggio di una serie tv filosovietica degli anni ’60, Cztery pancerzy i pies (trad. Quattro carristi e un cane), talmente amata dal pubblico che dopo la caduta del comunismo continua ad essere mandata in onda nonostante si basi su veri e propri falsi storici confezionati apposta a fini propagandistici.

 

Nonostante questo ruolo che avrebbe potuto intrappolarlo e compromettere per sempre la sua carriera, l’abbiamo conosciuto come l’uomo che vuole morire e assolda qualcuno per farsi uccidere in Film bianco di Kieślowski, come il censore odiato da tutti e innamorato di Margherita in Ucieczka z Kina “Wolność  (trad. Evasione dal Cinema Libertà) di Marczewski, come l’esilarante personaggio di Cześnik Raptusiewicz affiancato da Polanski in Zemsta (trad. Vendetta)  di Wajda. Ma l’abbiamo anche visto in varie parti da “Cattivo” con la C maiuscola, come nei panni del  Major "Kąpielowy" in Przesłuchjanie (trad. L’interrogatorio) o come, in un altro film più recente di Bugajski, Układ zamknięty (trad. Compartimento stagno), l’uomo corrotto che manda a monte gli affari di un gruppo di ragazzi pieni di iniziativa.

 

In Body/Ciało non si può dire che sia un personaggio positivo: ride alla vista di una povera vecchietta a cui due ragazzini rovesciano una secchiata d’acqua in testa, beve moltissimo, è cinico e scontroso con tutti e ha un rapporto orribile con sua figlia Olga, adolescente che soffre di disordini dell’alimentazione. Olga fa la sua prima apparizione camminando a testa in giù, per riuscire a vomitare, mentre lui la guarda con lo sguardo di chi è abituato e rassegnato a questo grottesco comportamento.

 

La loro famiglia è distrutta dalla morte della madre, avvenuta un anno prima. Ma quando il padre accompagna ancora una volta Olga nella clinica per disordini alimentari e rimane solo a casa, cominciano a succedergli cose strane: lo stereo si accende da solo e sembra che in casa si aggiri il fantasma della defunta moglie, che gli lascia addirittura un messaggio scritto su un foglietto lasciato appositamente in un cassetto. Ma non si sa se tutto questo sia reale o frutto del suo continuo annebbiamento da alcool.

 

In clinica, intanto, la terapia di Olga viene seguita da Anna, una donna sola che vive con un alano enorme che occupa tutto il suo appartamento e che dorme con lei. Il suo passato è molto triste, ha perso un figlio da anni, ma non ha ancora avuto il coraggio di dirlo a sua madre: il risultato è che la povera, ignara nonna ammira la foto segnaletica di un bambino scomparso, convinta che ritragga suo nipote.

 

Interpretata da Maja Ostaszewska, una delle donne protagoniste di Katyn di Wajda e già presente nel precedente film di Małgorzata Szumowska nei panni di Ewa, qui copre un ruolo tanto tragico quanto comico che mette in risalto più che mai sua bravura attoriale.

 

Anna, oltre a curare le giovani anoressiche e bulimiche, è anche una medium: a volte cade in trance e comincia a scrivere ad occhi chiusi i messaggi che i morti mandano ai vivi che hanno lasciato sulla terra. Decide così di aiutare Olga e suo padre a mettersi in contatto con la madre morta. A casa di Olga e suo padre, dopo un’intera notte di inutili tentativi, si addormenta russando su una sedia.

 

I due padroni di casa, seduti con lei al tavolo di cucina in attesa del contatto soprannaturale, si trovano per la prima volta davvero faccia a faccia e stabiliscono un contatto. Dapprima lei confessa di aver scritto personalmente il bigliettino nel cassetto spacciandosi per il fantasma della madre. Poi i due si ritrovano complici nel ridere della povera medium addormentata, che tra le altre cose è stata appena licenziata a causa loro.

 

È quindi un lieto fine a chiudere il film che, al contrario dei precedenti lavori della regista polacca, è ironico,  equilibrato, e, soprattutto, finalmente degno di una regista che è stata allieva del celebre e geniale maestro Wojciech Jerzy Has. Małgorzata Szumowska, infatti, a mio parere è sempre stata tecnicamente molto brava ma troppo acerba nell’affrontare tematiche complesse e “scivolose” come quelle dei suoi precedenti film.

 

Quando parla di pedofilia o di prostituzione minorile, infatti, non è facile perdonarle quel vizio di porre domande senza dare risposte. Anche perché si tratta un atteggiamento che non ha affatto l’aria di una democratica sospensione del giudizio nei confronti dei suoi personaggi o dei temi trattati: assomiglia, invece, molto di più all’atteggiamento di chi non vuole o non è in grado di andare troppo a fondo.

 

Ora, in questo comico e tragico film, è proprio questa ambiguità del giudizio che fa da ciliegina sulla torta. L’uomo è davvero prosaico, fatto solo di carne e niente anima, così come sembra essere il cinico padre in questo film? Un padre che è molto diverso da quello tenero e affettuoso che lo stesso Gajos interpretava nel Decalogo 4 di Kieślowski, che cercava di venire a capo del suo troppo amore per la figlia. Qui tra lui e la Olga c’è solo astio e rancore: lei odia suo padre, e uno dei motivi per cui lo odia è perché è grasso. E allora non mangia e se mangia vomita. Il corpo è importante, fondamentale.

 

Ma l’anima? Esiste? Il film si intitola in lingua originale Body/Ciało (trad. Corpo), ma ha anche un azzeccato sottotitolo: “C’è qualcosa di più?”. Questa è la domanda senza risposta con cui ci lascia la regista: cosa c’è di importante oltre al corpo, oltre al mondo materiale? Lo spirito della madre di Olga si aggira veramente per la casa? Forse no. Ma forse invece sì, al solo scopo di far sedere padre e figlia allo stesso tavolo e vederli complici nel ridere della medium addormentata.