Andrzej Wajda nasce
nel 1926 nel nord est della Polonia, e
inizia gli studi a Radom. Il padre, Kazimierz Wajda, cade prigioniero
dei russi
e viene ucciso a Katyń lasciando nella vita del futuro regista un vuoto
incolmabile che non potrà essere espresso liberamente fino a quando non
riuscirà a girare il film Katyń
nel 2007. Durante la guerra studia
nelle scuole
clandestine, ma presto deve smettere per motivi economici. Mentre
lavora come
magazziniere, nonostante la situazione sempre più difficile, si
interessa di
pittura. Nel ’42 si sposta a Varsavia e diventa membro dell’Armja
Krajowa,
l’esercito clandestino polacco. Quando molti dei suoi compagni vengono
presi
dalla Gestapo, decide di trasferirsi prima a Cracovia e poi, dopo la
fine della
guerra, di tornare a Radom per finire il liceo alle scuole serali.
La sia propensione
per le arti visive è chiaramente
riscontrabile nei suoi film, in cui le inquadrature sono sempre
perfettamente
concepite, con una particolare attenzione alla luce. E non stupisce che
Wajda
abbia fatto la storia del cinema polacco, perché il cinema polacco,
come lui
stesso afferma in varie interviste,
è un
cinema di immagini e non di parole, forse anche a causa della censura,
che
tende a censurare più facilmente le parole che le immagini.
Il suo primo film, Generazione
del 1954, segue ancora in gran parte i dettami del Socrealizm, i suoi
personaggi sono stereotipati e senza sfumature. Solo il linguaggio
cinematografico, in particolare grazie alla fotografia contrastata e a
tratti
tecnicamente “scorretta” di Jerzy Lipman, si distacca da quanto fino ad
allora
conosciuto nel cinema del dopoguerra. In questo film compaiono già
artisti che
diventeranno famosi, come il giovanissimo Roman Polański, Zbigniew
Cybulski, Tadeusz
Łomnicki e altri.
Verso la fine degli
anni ’50 escono I dannati di
Varsavia (1956) e Cenere e
diamanti (1958), i suoi due capolavori
attribuiti alla corrente della cosiddetta Scuola Polacca, che in quegli
anni riunisce
molte diverse personalità attive nel cinema. Personalità che, come
afferma lo
stesso Wajda, sono indipendenti e molto diverse tra loro.
Il filo conduttore
tra gli esponenti della Scuola Polacca è rappresentato
più che altro dalle tematiche affrontate, che comprendono ad esempio
l’insurrezione di Varsavia, i soldati dell’Armia Krajowa, e tutti quei
temi che
durante lo stalinismo potevano essere affrontati solo incorrendo in
distorsioni
della realtà o interdizioni della censura: tutti argomenti diventati
tabu e
ripresi soltanto dopo il 1956, ovvero quando Gomułka permette un certo
allentamento delle maglie, sdoganandoli.
Wajda riesce a fare
film di rilievo durante tutte le fasi
della storia polacca, come un equilibrista, mantenendo sempre un
livello
artistico molto alto. Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 fa parte della
corrente
del Cinema dell’Inquietudine Morale, i cui esponenti sono autori del
calibro di
Krzysztof Zanussi e Krzysztof Kieślowski e di cui fa parte anche
Agnieszka
Holland, che spesso collabora con Wajda per la stesura delle
sceneggiature.
In questo periodo,
oltre al film Senza Anestesia
del 1978 che ritrae le
persecuzioni politiche perpetrate nei confronti di molti intellettuali,
gira
due film che con Wałęsa – L’uomo
della speranza,
presentato alla biennale del Cinema di Venezia nel settembre del 2013, creano una vera e
propria trilogia
anti-regime.
Si tratta di L’uomo di marmo
del 1976 e L’uomo di ferro
del 1981,
quest’ultimo incentrato sugli scioperi dell’80 e ’81 e sulla nascita di
Solidarność e girato proprio mentre questi stessi avvenimenti
accadevano. Pare
che per quest’ultimo film Wajda abbia chiesto in prestito a Jaruzelski
alcuni
carri armati per le riprese, e che lui abbia rifiutato, usandoli poi
qualche
mese dopo durante lo stato di guerra.
Protagonista de L’uomo di marmo
è Agnieszka, una giovane studentessa della scuola di cinema che sul
finire
degli anni ’60 si pone l’obiettivo di girare un documentario su Birkut,
un
operaio e eroe stakanovista impegnato nella costruzione di Nowa Huta a
Cracovia
negli anni ’50. In considerazione dei meriti di quest’ultimo, era stata
anche scolpita
una statua di marmo a lui dedicata, che Agnieszka all’inizio del film
trova
casualmente in un museo. In verità,
Birkut diviene velocemente un
personaggio scomodo, al punto che
Agnieszka non riesce a terminare il suo documentario. Non solo: le sue
insistenze
volte a terminare il lavoro intrapreso la porteranno soltanto
all’espulsione
dalla scuola di cinema.
Ritroviamo
entrambi, Agnieszka e Birkut, nel film L’uomo di ferro.
Sono passati dieci anni e il
protagonista del film, Winkel, un reporter di Varsavia allineato con il
regime,
ha il compito di fare un reportage su quanto sta accadendo a Danzica.
In
particolare deve trovare il modo per screditare Maciej Tomczyk, uno dei
leader
che, al fianco di Wałęsa, guida la protesta ai cantieri navali. Il
giovane è un
personaggio scomodo per le autorità anche in quanto figlio di Birkut,
divenuto
un martire degli scioperi del ‘70.
Maciej Tomczyk è
l’uomo di ferro: un giovane che verrà
forgiato come un pezzo di metallo dalla vita in Polonia.
Deluso
profondamente dal padre che non si unisce con i suoi colleghi
lavoratori alla
protesta studentesca nel ’68 cui lui partecipa, è costretto
successivamente ad
affrontare un grande senso di colpa nei confronti di quest’ultimo, che
muore durante
gli scioperi dei lavoratori nel ’70, a cui questa volta è stato Maciej
a
rifiutarsi di partecipare.
Maciej si innamora
di Agnieszka, stesso personaggio e stessa
attrice, protagonista di L’uomo di marmo.
Alla loro cerimonia
di nozze i testimoni sono gli autentici Lech Wałęsa e Anna
Walentynowicz, che
partecipano al film in qualità di attori che interpretano se stessi.
Questo ci permette
di mettere in evidenza i due elementi che
ritroveremo, opportunamente declinati nello stile cinematografico di
trent’anni
dopo, in Wałęsa – L’uomo
della speranza.
Il primo consiste in un montaggio sapiente e accorto di spezzoni di
filmati di
repertorio con sequenze di finzione, con la partecipazione di
personaggi reali
in veste di attori e viceversa. Il secondo è la struttura basata sui
flashback.
Il flashback ne L’uomo di ferro
intesse e tiene vivo il parallelo
tra quanto accade nel 1968-70 e quanto accade nel 1980. Nel nostro Wałęsa – L’uomo
della speranza, invece, si incarna
in un’ossatura basata sull’intervista tenuta da Oriana Fallaci
a Lech Wałęsa
poco prima della dichiarazione dello stato di guerra ad opera di
Jaruzelski nell’81.
In entrambi i film
gli spezzoni di repertorio vengono
incastonati in maniera magistrale, e comunque mai forzata, all’interno
delle
sequenze di finzione.
Tra i filmati di
repertorio utilizzati si trovano anche dei
“falsi”, come ad esempio una sequenza in cui una bella musica anni “80
giovane
e aggressiva (la colonna sonora del film è estremamente accattivante e
il
montaggio ha un ritmo decisamente veloce) accompagna due giovani mentre
distribuiscono volantini nel vagone di un treno. Si tratta di una
sequenza ritagliata
da L’uomo di ferro
e i due personaggi sono Agnieszka
e Maciej (Krystyna Janda e Jerzy Radziwiłowicz), che tra l’altro, per
mezzo di
un ulteriore stacco di montaggio, consegneranno un volantino anche al
Wałęsa personaggio
del nostro film (Robert
Więckiewicz).
Tornando
all’intervista di Oriana Fallaci, essa è il mezzo
scelto da Wajda per raccontare il Wałęsa uomo, il Wałęsa con sei figli
che
devono mangiare e cui si deve cambiare il pannolino, il Wałęsa che
prima di
uscire di casa si sfila orologio e anello e li lascia alla moglie
Danuta
affinché li venda “solo nel caso…”.
Pare che Wajda
avesse a cuore, sin dalle prime fasi della
realizzazione di questo film, due aspetti. Il primo consisteva nel
raccontare la
Storia con la “S” maiuscola privilegiandone la sua dimensione umana e
quella
personale dei suoi protagonisti, mantenendo sempre un occhio di
riguardo nei
confronti delle figure femminili, qui rappresentate da Danuta Wałęsa,
che pur
poste in secondo piano hanno un ruolo fondamentale. Il secondo aspetto
consisteva,
invece, nel raccontare una storia che fosse credibile sia per un
pubblico
polacco che per un pubblico d’oltreoceano o appartenente al resto
dell'Europa.
E’ in quest’ottica
che va interpretata la scelta del regista
di affidare la sceneggiatura allo scrittore polacco Janusz Głowacki,
che aveva
sì partecipato agli eventi narrati in qualità di lavoratore nei
cantieri di
Danzica, ma che dall’83 vive e lavora negli Stati Uniti.
Un altro degli
scopi principali del film è quello di far
conoscere questi avvenimenti a chi non li ha vissuti, e non solo perché
non
abita in Polonia: il film infatti, con il suo montaggio velocissimo che
sembra
quasi da videoclip e la sua colonna sonora, che comprende gruppi
polacchi nati
non prima dell’83 e che fanno musica che va dal reggae al rock, fino ad
arrivare all’hard rock e punk, è chiaramente rivolto anche ai giovani
polacchi,
affinché possano ricordare questi avvenimenti come se li avessero
vissuti
veramente, facendo tesoro degli insegnamenti che dà loro la Storia.
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