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STORIA DEL CINEMA POLACCO

La prima storia del cinema polacco pubblicata in rete in lingua italiana

Letteratura nazionale

Uno dei generi che ha maggior successo è quello storico basato su grandi romanzi di autori nazionali. Ciò avviene un po’ a causa della moda generalizzata del momento, un po’ per salvare l’arte cinematografica, che in questo momento storico si trova in un una fase di sofferenza: il numero di film girati, infatti, sta diminuendo sensibilmente. Inoltre la stessa Uchwała[1] cerca di favorire questa tendenza; in un paragrafo si afferma:

 

Bisogna cercare tematiche che esprimano idee progressiste e che liberino nella nazione e nel popolo lavoratore le aspirazioni di mille anni di storia polacca, approfittare in questo ambito delle eccellenti opere della letteratura polacca.[2]

 

Pan Wolodyjowski

In alcuni casi ciò si traduce in una mera trasposizione cinematografica di opere letterarie. Due esempi di questo genere sono Hrabina Cosel (trad. La contessa Cosel) di Jerzy Antczak del 1968, tratto dal romanzo del 1873 di Józef Ignacy Kraszewski e Pan Wołodyjowski (trad. Il Signor Wolodyjowski) di Jerzy Hoffman dello stesso anno, tratto dalla trilogia di Henryk Sienkiewicz scritta tra il 1884 e il 1888. Quest’ultimo ha un certo valore artistico, con Tadeusz Łomnicki come protagonista e con Daniel Olbrychski nei panni di Azja Tuhajbejowicz, personaggio scelto da Sienkiewicz per rendere la propria idea di un certo tipo di “asiatico” piuttosto selvaggio. La bellissima fotografia è di Jerzy Lipman.

 

In altri casi, invece, quando ad esempio chi dirige i film sono gli autori della Scuola Polacca, si va oltre la mera trasposizione. Durante il breve periodo di libertà negli anni subito successivi al ’56, questi registi avevano avuto l’opportunità di creare dei veri e propri capolavori. Ora che le maglie della censura si sono ristrette, diventa difficile per loro garantire al pubblico una così alta qualità. L’utilizzo di opere nazionali già consolidate permette loro di sopravvivere senza costringerli ad abbassare il livello artistico delle pellicole. Essi possono così trovare un nuovo modo di comunicare con il pubblico in tempi così difficili, spesso anche facendo riferimento alla realtà contemporanea attraverso la narrazione di storie o situazioni storico-politiche passate con cui è possibile fare un parallelismo.

 

A questo si collegano due film che aprono e chiudono il festival di Cannes del 1965: Popioły (In italiano: Ceneri sulla Grande armata) di Andrzej Wajda e Faraon (trad. Il faraone) di Jerzy Kawalerowicz.

 

Popioły

 

Il primo è tratto dall’omonimo romanzo di Stefan Żeromski del 1902, del cui adattamento si occupa Aleksander Ścibor-Rylski; trattandosi di un libro molto corposo, in tre tomi, si decide di tralasciare una buona parte delle sottotrame. Il film è girato per lo più in esterni e, cosa di cui il regista ancora oggi si rammarica, in bianco e nero. Inizia con una sequenza meravigliosa in cui uno stuolo di invitati già ubriachi si lancia in una corsa forsennata in carrozza in mezzo a pianure sconfinate e innevate per recarsi a una festa in un palazzotto di campagna. Protagonista maschile è il giovane Daniel Olbrychski, attore in fase vertiginosamente ascendente in questi anni, mentre la ragazza da lui amata è la bellissima Pola Raksa.

 

Il film è ambientato a cavallo tra il 700 e l’800, ma Wajda usa il testo per richiamare in qualche modo le disillusioni della contemporaneità: ad esempio, il protagonista Rafał ha grandi speranze e progetti all’inizio del suo percorso, e intraprende mille peripezie per seguire un ideale di libertà che lo porta ad arruolarsi nell’esercito polacco che combatte al fianco di Napoleone. Ma le sue avventure terminano con lui quasi calpestato dalle stesse truppe napoleoniche che gli passano accanto totalmente indifferenti.

 

Altra scena tanto meravigliosa quanto rappresentativa della tragicità delle aspirazioni di libertà che avevano caratterizzato la recente storia della Polonia, è quella dell’assedio a Saragozza, in cui un plotone di soldati entra, pieno di coraggio e di intenzioni libertarie, nella città fortificata. Saragozza, tuttavia, si presenta deserta e silenziosa: l’unico suono che si sente è quello dei loro passi. Ad attenderli trovano soltanto un gruppo di strani figuri, probabilmente pazienti di una sorta di manicomio o impazziti a causa dell’assedio, che danzano abbandonati a loro stessi nella città svuotata. Il film fu preso come un attacco ai valori polacchi, in particolare da parte dei Partyzanci[3], seguaci di Mieczysław Moczar di cui si è già parlato nel capitolo precedente, che gli fecero cattiva pubblicità[4].

 

Faraon

 

Il secondo film al festival di Cannes del 1965 è Faraon di Jerzy Kawalerowicz, tratto dal romanzo di Bolesław Prus del 1897. Questa pellicola mette in evidenza in modo particolare le dicotomie tra giustizia ed efficienza, tra nobiltà degli scopi e possibilità di raggiungerli e tra potere politico e religioso. Queste contrapposizioni sono incarnate dal protagonista Ramses XIII, giovane faraone e personaggio inventato, che si trova alle prese con il pragmatismo e la durezza della casta sacerdotale. Il soggetto si collega in qualche modo al conflitto tra stato e chiesa in atto nel periodo contemporaneo all’uscita del film.

 

In Faraon grande importanza viene data all’estetica e in particolare ai costumi: mentre in America registi di origine polacca come Joseph Mankiewicz giravano film come Cesare e Cleopatra, con un’infinità di mezzi e la missione di restituire nel modo più fedele e filologico possibile l’estetica dell’antico Egitto, in Polonia Kawalerowicz non può permetterselo. Con grande ingegno decide così di creare una propria estetica inventata, basata su toni luminosi di azzurro e oro, con l’aiuto delle scenografie di Jerzy Skrzepiński e delle impareggiabili luci di Jerzy Wójcik, che anni prima aveva diretto la fotografia di Cenere e diamanti di Wajda.

 

Rękopis znaleziony w Saragossie

Nel 1964 è la volta di Rękopis znaleziony w Saragossie (In italiano: Il manoscritto trovato a Saragozza) del grande Wojciech Jerzy Has, dall’omonimo romanzo che Jan Potocki scrisse tra il 1794 e il 1815. Il film è uno spensierato ed esteticamente bellissimo adattamento cinematografico: anche qui i mezzi disponibili sono limitati e gli scenografi ricreano l’ambientazione spagnola in un parco vicino alla sede della casa di produzione a Breslavia.

 

Il bianco e nero è nitido e contrastato, le ambientazioni sembrano quadri di Dalì, la musica di Krzysztof Penderecki accentua il senso di surreale mistero creato magistralmente da Mieczysław Jahoda, già direttore della fotografia di due pellicole alquanto allucinate quali sono Zymowy zmierzch (trad. Crepuscolo invernale) e Pętla (trad. Il cappio) di cui si è parlato precedentemente[5].

 

La narrazione de Il manoscritto trovato a Saragozza si svolge a “scatole cinesi”, ogni personaggio racconta una storia all’interno della quale si trova un altro personaggio che racconta una storia, fino a raggiungere una tale molteplicità di livelli narrativi da perdere il filo. Il film ebbe molto successo anche all’estero, anche se vi venne per lo più proiettato in versioni “accorciate”. La versione originale dura ben 180 minuti. Pare che autori del calibro di Scorsese, Buñuel, Von Trier e Lynch lo reputino uno dei migliori film del cinema mondiale[6].

 

Il romanzo fu pubblicato prima in francese e solo dopo una trentina d’anni uscì un’edizione in polacco. Il suo autore, grande viaggiatore, si uccise sparandosi con una pallottola d’argento che aveva fatto precedentemente benedire.

 

Wojciech Jerzy Has nel 1968 adatta un altro importante romanzo scritto da Bolesław Prus nel 1890. Si tratta di Lalka (trad. Bambola). Un ricco commerciante di Varsavia, Stanisław Wokulski, si innamora di un’aristocratica impoverita di nome Izabela. Dopo alterne vicende, soltanto per motivi di interesse, lei acconsente a sposarlo a patto che lui abbandoni il commercio.

 

Egli si ritira dalla sua attività; mentre si trova in viaggio per Cracovia con la futura moglie, quest’ultima inizia a parlare in inglese con un viaggiatore che, apparentemente per caso, condivide lo scompartimento con loro. In realtà si tratta del cugino di Izabela, Starski, di cui è innamorata. Convinta che il futuro marito non capisca l’inglese, la ragazza conversa liberamente con il cugino permettendo così a Wokulski di capire che al matrimonio non la spingono sentimenti onesti ma l’interesse economico. Wokulski è oramai rovinato e, disperato, tenta il suicidio. Viene tuttavia salvato da un ferroviere che egli aveva un tempo aiutato. Scompare poi alla vista di tutti i suoi conoscenti. Izabela non ha altra scelta che chiudersi in convento.

 

Mentre il romanzo è incentrato soprattutto sul talento del protagonista, ostacolato nella sua arrampicata sociale da pregiudizi, convenzioni e snobismo, il film di Has getta una luce diversa su di lui, facendolo risultare un gran sognatore con molte chimere, una della quali è appunto Izabela. Questo suo amore non corrisposto è la goccia che fa traboccare il vaso di un suo inevitabile conflitto con il suo stato sociale e con il mondo generale. È frutto sì della situazione storica e politica del suo paese ma soprattutto del suo temperamento. La stessa attrice che interpreta la protagonista, l’algida e irraggiungibile Beata Tyszkiewicz, in questi anni moglie di Wajda, rende ancora più chimerico il desiderio del protagonista nei suoi confronti.

 

Un altro romanzo preso in considerazione per una trasposizione, questa volta da Andrzej Wajda, è Przedwiośnie (trad. Preannuncio della primavera). Il regista comincia a lavorare alla sceneggiatura per l’adattamento del romanzo di Stefan Żeromski nel 1956, ma da allora per ben mezzo secolo nasceranno ben cinque versioni della sceneggiatura e si cambierà diverse volte il cast. Infatti, nonostante la vicenda sia ambientata nel periodo prebellico, la Commissione di Valutazione delle Sceneggiature la censura ripetutamente in quanto opera spiccatamente anti sovietica.

 

Naturalmente Andrzej Wajda aveva anche intenzione di richiamare, tramite questo film, la situazione politica contemporanea in Polonia; dal canto suo, quindi, più volte rifiutò di spingersi troppo lontano con i compromessi richiesti dalla censura. A volte, invece, fu costretto a sospendere il progetto perché occupato su altri fronti o perché gli attori che aveva in mente non erano disponibili. Alla fine il progetto non fu mai portato a termine, ma Wajda cercò sempre di riprenderlo in mano. Gettò la spugna solo quando fu battuto il primo ciak dell’adattamento cinematografico dello stesso romanzo da parte di Filip Bajon nel 2001.


 




[1] Uchwała Sekretariatu KC PZPR w sprawie kinematografii (trad. Delibera della segreteria del Comitato Centrale della Polonia Popolare per la cinematografia), delibera che imponeva una cattiva valutazione a tutti i film le cui tematiche affrontate non fossero impegnate ad agevolare la costruzione della Polonia socialista. Vedi in questo stesso testo il paragrafo Dopo la Scuola Polacca.

[2] In originale: Należy szukać tematyki wyrażającej postępowe idee i wyzwoleńcze dążenie narodu i ludu pracującego w 1000-letniej historii Polski, korzystać w tym zakresie z wybitnych dzieł polskiej literatury. Traduzione mia.

[3] Vedi in questo stesso testo il capitolo La guerra: Scuola Polacca e propaganda, paragrafo Cinema di Propaganda.

[4] Ilustrowana historia kina polskiego di Tadeusz Lubelski, Videograf II, 2009.

[5] Del primo si tratta in questo stesso testo nel capitolo Il disgelo e la liberazione dal Socrealizm, paragrafo Tadeusz Konwicki e Zymowy zmierzch, del secondo nel capitolo dedicato alla Scuola Polacca al paragrafo su Wojciech Jerzy Has, stesso regista de Il manoscritto trovato a Saragozza.